(De)trattori: il racconto delle proteste degli ultimi mesi nel mondo agricolo UE

Le proteste degli agricoltori, diffusesi in tutta Europa, sono arrivate come uno shock per i politici europei, sia a livello nazionale che a livello comunitario, e impongono una serie di riflessioni che diventano più pressanti a ridosso delle elezioni europee di giugno.

di geri ballo, gaetano gullo, marco mabritto

Il vento delle proteste partito da Est

Le prime manifestazioni hanno avuto luogo in Polonia, dove gruppi di agricoltori hanno cominciato ad incrociare le braccia contro la proroga delle agevolazioni europee sui prodotti alimentari ucraini, introdotti dalla Commissione Europea nel giugno 2022 e prorogati fino al 2025. Dunque all’origine di tutto c’è la gestione degli effetti della guerra scatenata da Putin, con l’Ue presa nella morsa degli aiuti necessari all’Ucraina da una parte e gli effetti di questi sugli agricoltori europei dall’altra. Nello specifico, anche qui non sembra funzionare il meccanismo di solidarietà che richiederebbe agli stati membri di condividere il peso dell’aiuto che tutti insieme hanno deciso di dare all’Ucraina, gli effetti rimangono a carico dei coltivatori confinanti con il paese in guerra. Hanno fatto seguito infatti proteste in altri paesi dell’Est Europa, dalla Lituania alla Slovacchia del nuovo Primo Ministro Robert Fico, passando per l’Ungheria di Viktor Orban. A metà febbraio la situazione nell’Est Europa non sembra essersi calmata. La decisione della Commissione di rafforzare il meccanismo di protezione sui prodotti sensibili dell’Ue non è bastata a placare gli agricoltori polacchi e ungheresi, che sono tornati nuovamente in strada, occupando i valichi al confine con l’Ucraina.

Altro scenario in Germania, dove gli agricoltori sono scesi in piazza a metà dicembre per protestare principalmente contro la decisione del Cancelliere Scholz  di tagliare il sostegno pubblico sul prezzo del gasolio, di cui i produttori agricoli tedeschi beneficiano dal 1951. Con il sostegno delle associazioni sindacali più rappresentative, allo stato attuale, la situazione sembra essere parzialmente rientrata. La decisione da parte del governo di ridurre i sussidi al carburante fino alla loro eliminazione nel 2026, ripristinare l’esenzione fiscale per i veicoli a motore e rafforzare il potere di mercato dei produttori nel rapporto con la grande distribuzione non sembrano, però, soddisfare del tutto le richieste dei manifestanti, che si aspettano ulteriori risposte, non solo sul piano interno ma anche sul terreno comunitario.

Al grido di “ici commence le pays de la résistance agricole” (qui comincia il paese della resistenza agricola), gli agricoltori francesi hanno seguito i loro colleghi tedeschi. Alla base delle proteste dei produttori dell’”Hexagon” ci sono l’aumento del costo delle materie prime, la burocrazia e il calo del tenore di vita. Le contestazioni sono arrivate fino a Parigi, con tonnellate di fieno depositate davanti al Ministero dell’Economia. Per disinnescare la rabbia degli agricoltori, il neo Primo Ministro Gabriel Attal ha annunciato un pacchetto di misure per risolvere la crisi: un piano da 2 miliardi per sostenere gli imprenditori agricoli, il permesso di usare pesticidi consentiti in altri paesi dell’Ue e il divieto di importare alimenti da paesi extra-Ue con standard di produzione che non sono in linea con quelli europei. Promesse che hanno diviso la protesta tra chi ha scelto di sospendere la mobilitazione, in attesa di “ulteriori chiarimenti” da parte del governo francese, e chi intende continuare. 

Anche in Spagna gruppi di agricoltori hanno occupato le principali arterie del paese: dall’Andalusia al nord-est del paese, fino alla Catalogna, dove migliaia di trattori si sono radunati davanti alla sede regionale del Dipartimento dell’Agricoltura per protestare contro le severe restrizioni all’irrigazione delle colture imposte dal governo catalano per fronteggiare la fase peggiore di una crisi idrica iniziata nel novembre 2022. Il governo Sanchez intende rispondere alle sofferenze del comparto agricolo attraverso il rafforzamento della legge sulla filiera alimentare, approvata nel 2021 con l’obiettivo di stabilire un rapporto equo tra agricoltori, industria agroalimentare e aziende di distribuzione, confermando, inoltre,  i 4 miliardi di euro che nel 2022 sono stati stanziati al comparto agricolo per affrontare l’emergenza siccità. Sulla stessa linea, il governo portoghese, guidato da Antonio Costa, ha annunciato un intervento da 400 milioni di euro per sostenere il comparto agricolo lusitano.  

L’Europa da ombrello a bersaglio

Una galassia complessa da decifrare dunque, soprattutto per la moltitudine di istanze portate avanti da chi protesta, ma che hanno come denominatore comune le decisioni in ambito europeo. Ecco allora la paura nei confronti delle importazioni low-cost, non solo dall’Ucraina ma anche da altri player internazionali, basti pensare alle implicazioni dell’accordo di libero scambio tra l’Ue e i paesi latinoamericani del Mercosur, non ancora ratificato e adesso in fase di stallo; la critica nei confronti delle recenti riforme dell’Ue, con particolare riferimento alla PAC 2023-2027, al Green New Deal e alla strategia Farm To Fork, considerate da una parte dei produttori agricoli troppo restrittive e dannose per la competitività delle loro aziende; a cui si aggiunge la pressione al ribasso della grande distribuzione, che non è una novità ma negli ultimi anni ha continuato a strozzare il comparto. Queste sono le principali preoccupazioni che da Varsavia a Budapest; da Berlino a Parigi; da Lisbona a Madrid, hanno portato la “protesta dei trattori” fin sotto al Berlaymont, sede della Commissione Europea: l’onda lunga di una protesta che non sembra ritirarsi, come dimostrano le numerose mobilitazioni in altri paesi dell’Unione.

I tentativi di dialogo lanciati dalla Commissione, su iniziativa della presidente Ursula Von Der Leyen, con l’istituzione di un tavolo con i portatori d’interesse del mondo agricolo e delle ong ambientaliste e il ritiro di alcune tra le proposte di riforma più contestate – come la proposta di regolamento sui prodotti fitosanitari – e la deroga temporanea ad alcune condizionalità rafforzate previste dalla Pac – come quella che prevede di lasciare una percentuale minima del 4% della superficie a seminativo ad elementi non produttivi – sono un primo segnale di collaborazione da parte delle autorità comunitarie. 

Nonostante la maggioranza degli agricoltori le consideri insufficienti, quello che rileva, nelle intenzioni della Commissione, è l’obiettivo di ‘depolarizzare’ lo scontro. Come sottolinea la presidente Von der Leyen, “trovare un consenso e una visione comune sulla via da seguire non è certamente un compito facile […] È un’opportunità per preservare una parte essenziale della nostra anima europea, il nostro modo di vivere. Perché dipendiamo tutti dalla nostra campagna. Viviamo tutti con la natura e nella natura”.

Focus Italia

In Italia i primi focolai di protesta sono iniziati in Sicilia, propagandosi poi in molte province, da Nord a Sud, e portando infine i trattori sotto Palazzo Chigi. Tra le istanze dei manifestanti, alcune sono condivise con gli agricoltori degli altri paesi: le critiche alle politiche green europee, gli accordi con paesi extra-Ue che permetterebbero l’accesso nel mercato europeo a prodotti con standard fito-sanitari più bassi, ma anche l’aumento vertiginoso dei prezzi dall’inizio della guerra in Ucraina, pagato soprattutto dagli agricoltori più deboli, in particolare nel Sud Italia. Qui arriviamo alle rivendicazioni più strettamente italiane, con l’accusa al Governo Meloni di non aver tutelato gli agricoltori, la richiesta di mantenere la detassazione di Irpef e Imu e le agevolazioni per l’acquisto di carburante agricolo, nonché una forte critica alle più famose sigle sindacali, accusate di appiattimento sulla politica e di tutelare più se stesse che i coltivatori e piccoli imprenditori agricoli. Allo stesso tempo c’è chi accusa la politica italiana di sfruttare le istanze anti Green Deal per tutelare gli interessi dei macro mercati agrari e della grande distribuzione, veri nemici delle pmi italiane.

Il panorama agroalimentare italiano è caratterizzato da imprese a conduzione familiare, che continuano a costituire la componente più significativa del totale (93,5%). Allo stesso tempo, come rilevato dal rapporto “Agricoltura oggi: sfide per il futuro” di AIC-OpenPolis, l’agricoltura sta subendo una trasformazione di tipo strutturale. Le imprese con estensione superiore ai cento ettari sono aumentate del 17,7% nel corso del decennio 2010/2020, mentre quelle inferiori a un ettaro si sono dimezzate. Le pmi permangono comunque a presidio dei territori dell’entroterra e delle aree montane, sono lontane dalle logiche intensive e scelgono un modello di fare agricoltura capace di salvaguardare le aree rurali vitali e valorizzare al contempo il patrimonio di biodiversità della penisola, con produzioni apprezzate in tutto il mondo.Questo grande patrimonio di biodiversità è messo a rischio dal processo di “progressiva concentrazione” dell’imprenditoria agricola descritto sopra e in parte favorito dai meccanismi della PAC che – anche se nata per garantire un reddito equo agli agricoltori europei – oggi distribuisce l’80% delle risorse a solo il 20% delle aziende agricole, le più grandi.

“L’AIC ha seguito con attenzione la mobilitazione delle associazioni agricole nei diversi paesi europei, sostenendo le giuste rivendicazioni e condividendo molte delle paure che agitano il comparto. Al contempo ci distanziamo dai gruppi che provano a cavalcarle per portare i movimenti verso derive anti-sistema, anti-Europa, di estrema destra o anarchiche”, dichiara il presidente di AIC, Giuseppino Santoianni. “Per quanto riguarda le mobilitazioni italiane, la nostra organizzazione intende soffermarsi su alcuni punti da rivendicare, che riteniamo essere fondamentali per il settore agricolo: 

  • E’ necessario istituire un meccanismo di controllo dei prezzi dei prodotti, che oggi risulta determinato spesso da speculazioni. L’intermediario purtroppo decide il costo del prodotto finale a discapito dell’azienda agricola. L’Ue ha indicato la strada, anche attraverso il “Farm to Fork” e la nuova riforma della PAC per ridurre gli intermediari tra il produttore ed il consumatore finale e pertanto il governo deve, attraverso incentivi, campagne di informazioni ecc. fare in modo che il ruolo attualmente ricoperto dalla Gdo (grande distribuzione organizzata) sia invece degli agricoltori stessi, percorrendo la strada della cooperazione per poter garantire il giusto prezzo del prodotto all’agricoltore;
  • Applicare il contributo della PAC svincolandolo dai Titolo di produzione, che il più delle volte è minore della superficie coltivata e far in modo che il pagamento sia erogato sulla base della superficie effettivamente coltivata. Questa scelta doveva essere fatta in questa nuova programmazione 2023-2027, ora deve diventare una battaglia dell’Italia, sia per un intervento immediato europeo che per la prossima programmazione. Occorre legare quindi il pagamento del contributo alla coltivazione reale per incentivare gli agricoltori a coltivare e produrre di più;
  • Ulteriore proroga dell’esenzione del pagamento dell’Irpef sui terreni agricoli per tutte le aziende agricole regolarmente iscritte all’INPS, con un’attenzione particolare alle pmi;
  • Garantire, anche per il futuro, lo sgravio per il gasolio agevolato, considerato che attualmente il parco macchine delle aziende agricole è caratterizzato solo da macchinari alimentati a gasolio. Prevedere incentivi (quali la rottamazione) per l’acquisto di macchine ed attrezzature agricole più ecologiche.

Il messaggio che deve arrivare a tutta la società è che le pmi agricole italiane sono le migliori alleate dell’ambiente, le prime vittime delle disfunzionalità che lo colpiscono a causa dei cambiamenti climatici e il baluardo per la produzione di cibo sano e sostenibile, ottenuto rispettando i diritti dei lavoratori. In questo senso l’AIC ha chiesto con forza al Governo Meloni di includere nei diversi tavoli ministeriali chi porta queste voci alle istituzioni, in modo che il comparto si senta meglio rappresentato di com’è oggi”, conclude il presidente di AIC.