Rete del lavoro agricolo di qualità: una spallata alla concorrenza sleale
La Rete del lavoro agricolo di qualità raccoglie in uno specifico registro aggiornato le imprese agricole che si distinguono per il rispetto delle norme in materia di:
- Lavoro
- Legislazione sociale
- Imposte sui redditi e sul valore aggiunto
Questa Rete, istituita dalla legge n. 116/2014 sotto l’allora Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina e modificata successivamente dalla cosiddetta legge Anti-caporalato (L. n. 199/2016), è attualmente il principale strumento operativo gestito direttamente dallo Stato che riconosce una “certificazione etica” alle aziende agricole rispettose delle norme.
Ad oggi, secondo i dati messi a disposizione dall’INPS[1], sono più di 5.000 le imprese che con un’azione proattiva di contrasto alla concorrenza sleale derivante, ad esempio, dalle attività del c.d. caporalato in agricoltura – che sappiamo essere un fenomeno diffuso in diversi settori produttivi del Paese e in percentuale maggiore in presenza di lavoro nero[2] – hanno richiesto e ottenuto l’iscrizione alla Rete.
Per registrarsi alla Rete del lavoro agricolo di qualità è necessario presentare un’autodichiarazione online sul portale dell’INPS. Questa viene successivamente esaminata dalla Cabina di regia preposta che verifica i requisiti e il buon operato sub lege dei soggetti richiedenti. In trenta giorni la Cabina offre il responso e procede all’aggiornamento del registro contenente le aziende ammesse.
Uno strumento operativo gestito dalla PA che è caratterizzato pertanto da semplicità, gratuità, rapidità e che però presenta ancora un limitato livello di diffusione e utilizzo fra gli operatori dell’agrifood e le aziende sane di questo Paese.
Stando ai numeri infatti, in Italia ci sono più di 400.000 aziende che svolgono attività principale nel settore agricolo. Di queste circa il 39% assume dipendenti, per un totale stimato dall’ISTAT di 160.000 unità.
Se rapportiamo quest’ultimo dato con il numero delle realtà ammesse al registro – che a Maggio ’22 risulta essere di 5.262 unità – emerge che solo il 3% delle aziende agricole che assumono manodopera è iscritto (Tab 1).
Un risultato relativo al trend di adesione che, a 7 anni dall’istituzione della Rete, si può definire dunque modesto ma che, al contempo, ci garantisce una validazione concreta dello strumento.
Ci sembra quindi opportuno come Associazione Italiana Coltivatori interrogarci su come poter coinvolgere fattivamente il restante 97% delle aziende, dando così una spallata alla concorrenza sleale interna che ancora oggi insiste sui territori e che è corresponsabile della chiusura delle aziende agricole sane, attente alla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
A nostro avviso per aumentare il numero degli iscritti e raggiungere così quella esternalità di rete utile ad attivare un sinergico e spontaneo passaparola fra gli imprenditori è necessario agire su un duplice piano:
- quello dei benefici destinati alle aziende agricole iscritte al registro
- e quello dei consumatori-consapevoli interessati ad un acquisto sostenibile del cibo, garantito nell’eticità della produzione, oltre che nel gusto e nella salubrità
Per quanto riguarda il primo aspetto attualmente, dopo questi anni di “assestamento”, sembra chiaro che i soggetti ammessi acquisiscono uno status di appartenenza comparabile ad una certificazione etica riconosciuta dallo Stato e riscontrabile online in forma trasparente sul portale dell’INPS.
Questo status facilita l’efficientamento dei controlli aziendali concentrandoli maggiormente all’esterno della Rete, in quanto le società iscritte non sono prioritariamente oggetto dei controlli posti in essere dal Ministero del Lavoro e dall’INPS. E in questo ambito, è ipotizzabile pensare che tale strumento si integri con la condizionalità sociale – obbligatoria nella riforma della nuova PAC entro il 2025 – in cui i pagamenti erogati alle aziende agricole sono subordinati al rispetto di alcuni principi fondamentali in tema dei diritti dei lavoratori.
Fra i benefici – oltre a marcare l’aspetto di efficientamento del controllo e di risparmio di risorse e tempo per le aziende – sarebbe utile a nostro avviso individuare chiaramente una premialità ad hoc che incentivi l’adesione alla Rete e valorizzi il comportamento virtuoso degli aderenti.
A tal proposito, un esempio concreto ci arriva dall’Emilia-Romagna che, introducendo l’ammissione alla Rete fra i requisiti necessari ad ottenere determinate misure del PSR, ha visto crescere le domande da parte di soggetti interessati raggiungendo attualmente il 23% delle aziende iscritte al registro.
Dall’altro lato, nonostante non sia previsto un bollino etico che pubblicizzi l’adesione alla Rete, l’interesse alla stessa è già stato validato fra diversi stakeholders dell’agroalimentare vicini al sentiment dei consumatori.
A tale riguardo citiamo nella nostra riflessione il pensiero di Giorgio Santambrogio che in qualità di Former President di Associazione della Distribuzione Moderna (ADM), realtà che cura gli interessi del comparto Retail (es. VéGé, Esselunga, Coop, Conad) nei confronti dei propri fornitori del settore primario e secondario, ha affermato la volontà dei soci di utilizzare la Rete come unico bacino di approvvigionamento di fornitori agricoli diretti.[3]
Un ulteriore contributo alla tematica del cibo sostenibile a 360°, potrebbe giungere dalle amministrazioni comunali che si stanno interrogando sulle politiche del cibo e sulle ricadute che esse hanno sulle comunità.
I mercati dei contadini, luoghi di incontro fra produttori e consumatori, hanno la possibilità, come hanno già fatto in passato, di dare l’esempio alle filiere dell’agroalimentare e “svegliare” così gli animi dormienti di altre realtà dell’agrifood.
In tal senso è ipotizzabile il contributo concreto del consumatore-consapevole che, frequentando il mercato, potrà verificare in tempo reale tramite uno smartphone la presenza o meno della azienda agricola all’interno della Rete e chiedere così eventuali approfondimenti per le sue scelte consapevoli di acquisto basate su qualità del prodotto, provenienza, genuinità ma anche eticità.
Concludendo, AIC chiede che le amministrazioni comunali desiderose di partecipare attivamente al contrasto della concorrenza sleale, che nasce dal lavoro nero e dalle attività del caporale, utilizzino lo strumento della Rete del lavoro agricolo di qualità nella messa a disposizione di nuovi spazi commerciali dedicati ai mercati contadini dei coltivatori, garantendo così uno sviluppo ordinato ed equilibrato delle comunità che vivono i territori.
di Marco Mabritto
[1] Fonte INPS – Rete del lavoro agricolo di qualità
[2] Fonte INL – Rapporti annuali sull’attività di vigilanza in materia di lavoro e previdenziale
[3] Fonte Freshplaza – Rete del lavoro agricolo di qualità