La disponibilità idrica del Paese e la gestione della risorsa acqua in agricoltura
Negli ultimi anni l’Italia ha affrontato una serie di sfide legate alla siccità e alla crisi idrica, nonostante sia conosciuto come un Paese dal clima temperato e caratterizzato da rilevanti precipitazioni specialmente durante i mesi autunnali e invernali.
La sua conformazione geografica, infatti, con il 42% del territorio collinare e il 35% montagnoso, contribuisce a un alto livello di precipitazioni che si attesta mediamente nel decennio 2010-2020 sui 305 miliardi di metri cubi di pioggia all’anno secondo le elaborazioni congiunte di Cnr, Ispra e Istat.
L’Italia vanta poi anche una ricca presenza di risorse idriche superficiali, quali fiumi, laghi e bacini. Nonostante le loro dimensioni relativamente contenute e il costante scioglimento dei ghiacciai, questi elementi contribuiscono a posizionare il Paese tra quelli europei con la maggiore disponibilità di acqua.
Ma la statistica nazionale fornisce solo una visione parziale: il cambiamento climatico in Italia porterà, e sta già portando, ad aumentare i momenti in cui di acqua ce ne sarà troppa e altri in cui ce ne sarà troppo poca e ad acuire altresì le differenze tra le macro aree del territorio. Infatti le precipitazioni non sono distribuite uniformemente sul territorio, con l’Italia settentrionale che riceve circa il 40,8% delle precipitazioni totali, l’Italia meridionale il 24,4%, l’Italia centrale che si attesta al 22,2% e le grandi isole, Sicilia e Sardegna, che ne ricevono rispettivamente il 6,4% e 6,2%.
Le precipitazioni, dunque – seppur spesso al di sotto delle medie storiche – insieme alle falde, ai bacini e ai ghiacciai contribuiscono alla disponibilità della risorsa acqua in entrata nel bilancio idrico del Paese.
Dal lato dell’utilizzo, secondo il rapporto SDGs 2023 dell’Istat, in Italia si può calcolare un impiego annuo di 29,9 miliardi di metri cubi di acqua, ripartito come segue:
- uso agricolo pari, sempre in termini di volumi prelevati, a circa 17 miliardi di metri3, ovvero circa il 56% dell’acqua utilizzata;
- uso acqua idropotabile per la popolazione civile 9,1 miliardi di metri3 (31%);
- uso per attività industriali 3,8 miliardi di m3 (13%).
A questi tre principali utilizzi presenti nel bilancio idrico, per quanto riguarda la risorsa in uscita, si aggiunge il deflusso idrogeologico verso il mare e l’acqua che effettivamente evapora dalla superficie del terreno.
Andando in dettaglio, per quanto riguarda il settore civile, nel 2020 le perdite idriche nella rete di distribuzione hanno raggiunto il 42% del volume di acqua immessa, corrispondente a una perdita di 3,4 miliardi di metri cubi all’anno. Questo significa che in Italia ogni giorno vengono sprecati 157 litri di acqua per abitante, equivalenti al fabbisogno idrico di circa 43 milioni di persone.
Per le attività industriali, così come per l’agricoltura che è caratterizzata anche dalla presenza strutturale di autoapprovvigionamento, va evidenziato che i dati sopra enunciati sono stime che potrebbero presentare alti livelli di approssimazione, in quanto mancano strumenti di misurazione adatti che sono invece presenti nel comparto civile.
L’agricoltura italiana – condizionata da specifici vincoli climatici e dalle caratteristiche del suolo – risulta essere il principale utilizzatore di acqua, destinata all’irrigazione dei terreni agricoli e all’allevamento zootecnico; pertanto è particolarmente vulnerabile agli eventi di scarsità idrica.
In particolare il volume di acqua utilizzato nella zootecnia, che include sia l’acqua potabile per l’abbeverata degli animali sia quella utilizzata per il lavaggio delle strutture e delle attrezzature necessarie all’attività produttiva, è stimato – secondo l’ultimo dato disponibile Istat risalente al 2016 – pari a 317,5 milioni di metri cubi (circa il 2% dell’uso di acqua in agricoltura).
Mentre dal lato dell’irrigazione, il nostro focus sulla disponibilità idrica del Paese evidenzia che oltre 11 miliardi di metri cubi di acqua – ovvero il 67% dei prelievi totali dell’agricoltura – avviene attraverso sistemi di irrigamento adottati nel distretto idrografico del Fiume Po. Questo per le particolari colture scelte che, specialmente nei periodi più caldi o di forte stress idrico, sono “abbeverate” attraverso l’apporto dosato e cadenzato di acqua dolce. La risorsa rinnovabile entra poi in un ciclo idrogeologico e viene restituita all’ambiente, producendo cibo per la popolazione e garantendo sicurezza alimentare.
È importante segnalare poi che nell’ultimo decennio si è assistito a una transizione graduale verso metodi di irrigazione più efficienti, come l’aspersione e l’irrigazione localizzata che, in sinergia con l’agricoltura 4.0, possono contribuire significativamente a ridurre sempre più i consumi idrici nel settore agricolo in base alle esigenze temporali di ogni coltura.
Alla luce di quanto sopra esposto, l’acqua dolce è chiaramente una risorsa indispensabile per le colture e gli allevamenti e, di conseguenza, per la sicurezza alimentare della popolazione.
La gestione attenta di questa risorsa presente nel nostro Paese, influenzata come visto dai cambiamenti climatici, necessita in primo luogo di una conoscenza approfondita del Bilancio idrico con dati costantemente aggiornati per rispondere ai picchi di domanda dei diversi settori interessati all’utilizzo; in secondo luogo esige azioni concrete di creazione e manutenzione di infrastrutture utili alla raccolta dell’acqua piovana a fini agricoli attenuando il deflusso idrogeologico verso il mare che predomina nella bilancia idrica del Paese: il settore agricolo è infatti sì un settore idro-assorbente ma, in realtà, con adeguate infrastrutture sarebbe soddisfatto con il 5% delle precipitazioni annuali; in terzo luogo, la suddetta gestione deve agire incentivando il risparmio nell’uso finale di acqua, efficientando le perdite idriche nella rete di distribuzione e aiutando le imprese a dotarsi di strumenti innovativi atti a misurare puntualmente l’utilizzo durante il processo produttivo per valorizzare l’uso sostenibile della risorsa acqua e certificare la virtuosità dell’azienda agricola.
Come AIC siamo favorevoli a testare i Certificati Blu, riconoscendo lo sforzo del risparmio di acqua alle imprese virtuose in modo simile a quanto avviene con i certificati bianchi per l’efficientamento energetico. Un certificato blu andrebbe a riconoscere il risparmio nell’uso finale della risorsa idrica, premiando le imprese per ogni metro cubo di acqua dolce non utilizzata.