La crisi del Mar Rosso e l’impatto sull’agroalimentare

La conflittualità generalizzata è un fattore verso il quale il commercio internazionale deve mostrarsi più resiliente attraverso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e dei mercati.

di GAETANO GULLO

La ripresa delle ostilità tra Israele e Hamas in Medio Oriente sta creando una serie di reazioni nei territori vicini, che finiscono per provocare un clima di incertezza sui mercati internazionali. 

A ciò contribuiscono gli attacchi alle navi mercantili da parte degli Houthi, gruppo di ribelli che vivono nella parte nord occidentale dello Yemen, iniziati a fine 2023 e ancora in  corso, e che stanno destabilizzando il transito di merci nel Mar Rosso. 

Fino a poco tempo fa gli Houthi erano confinati nel contesto della Guerra in Yemen ma, con gli attacchi dallo stretto di Bab el Mandeb, sono usciti dalla dimensione regionale, colpendo il traffico di merci diretto verso il Canale di Suez. Da lì passa il 10-12% del commercio globale, soprattutto quello che collega l’Europa e l’Asia, con forti ricadute sul comparto agroalimentare.

Negli ultimi dieci anni le esportazioni europee di prodotti agroalimentari destinati ai paesi asiatici sono cresciute dell’81,9% (66,7 miliardi di euro). Tra i paesi europei, l’Italia è il quinto esportatore di prodotti agroalimentari verso l’Oriente, per un valore di  6,1 miliardi di euro nel 2022. Tra i prodotti maggiormente esportati troviamo: vino (446 milioni di euro), pasta (332 milioni di euro), pomodoro trasformato (230 milioni), formaggi (258 milioni) e prodotti freschi. In particolare le mele (181 milioni di euro) sono molto apprezzate in Arabia Saudita e India, mentre i kiwi (60 milioni di euro) hanno conquistato la Cina, nostro primo acquirente (22 milioni di euro, il 36,9% del totale).

Per quanto riguarda le importazioni, il Bel Paese si approvvigiona dai mercati asiatici per un valore complessivo di 4,9 miliardi. Tra i prodotti più importanti ci sono l’olio di palma raffinato (1 miliardo di euro), il caffè non torrefatto (564 milioni di euro) e prodotti ittici congelati (326 milioni). 

La crisi del Mar Rosso ha spinto le aziende a riorientare le rotte verso l’Africa con un allungamento dei tempi di percorrenza di 7-10 giorni. Questi ritardi possono essere deleteri per il settore agroalimentare, soprattutto per la frutta, soggetta a un rapido deterioramento della qualità. Il rischio di una perdita di competitività sia sul lato delle esportazioni verso l’Asia, con l’aumento dei costi di esportazione e il ricollocamento delle produzioni sensibili verso il mercato interno, sia su quello delle  importazioni, con il potenziale rallentamento di alcune produzioni causato dalla scarsità di materie prime e semilavorati essenziali per la produzione alimentare, implica un ripensamento  delle catene del valore globali.

La conflittualità generalizzata è un fattore verso il quale il commercio internazionale deve mostrarsi più resiliente attraverso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e dei mercati. Il ridimensionamento delle catene del valore  all’interno dei confini nazionali (reshoring) o nelle aree limitrofe (nearshoring) è una soluzione che può contribuire alla mitigazione del rischio ma, ad oggi, non è in grado di avere un impatto decisivo nella mitigazione degli shock esterni, come quello del Canale di Suez.

Mentre il riposizionamento della catena del valore limitata ai  paesi considerati “affini” (friend-shoring) offre una sicurezza solo relativa e incentiva la frammentazione del commercio mondiale, con la creazioni di blocchi indipendenti altamente impermeabili tra loro, escludendo i paesi a basso reddito dallo sviluppo economico e sociale. L’ex governatore della Banca d’Italia Visco sottolineò che “in un mondo diviso in blocchi si perderebbe […] quel patrimonio di fiducia reciproca che, oltre a essere indispensabile per la convivenza pacifica tra le nazioni, rappresenta una insostituibile base per affrontare le sfide cruciali per le prossime generazioni”.

In questo scenario, la cessazione immediata degli attacchi e il ripristino del passaggio delle navi attraverso lo stretto di Bab-el-Mandeb, quindi, rimane l’unica alternativa in grado di garantire la stabilità degli interscambi a livello internazionale, specialmente per il comparto agroalimentare. Il Canale di Suez non può essere facilmente sostituito, né oggi né in futuro.