La geopolitica del grano: il ricatto del cibo accentuato dai recenti conflitti che infiammano l’Europa

È ancora oggi il grano a garantire la sicurezza alimentare della popolazione mondiale, fornendo quasi il 20% delle calorie consumate dagli esseri umani.

di Rosamaria camodeca

Un tempo era usanza diffusa baciare il pane che si stava buttando via, una sorta di riverenza per un cibo prezioso, frutto del lavoro dell’uomo, che trasformava le spighe dorate di frumento in cibo. 

Oggi, occhi e mente incollati agli schermi dei nostri device, è ancora il grano a garantire la sicurezza alimentare della popolazione mondiale, fornendo quasi il 20% delle calorie consumate dagli esseri umani. 

Questo dà un grande potere ai pochi paesi che ne producono quote significative, dall’andamento della loro produzione dipende la possibilità di sfamare miliardi di persone. Inoltre la produzione può essere aumentata oppure interrotta, la decisione a chi vendere può essere usata come arma di pressione internazionale per ottenere benefici su altri dossier. 

La guerra tra Russia e Ucraina, paesi che fino al 2022 esportavano circa un quarto del grano a livello mondiale, ci ha aperto gli occhi su una realtà che era già davanti a noi: il mercato del grano è da tempo distante dalle dinamiche della domanda e dell’offerta, le quotazioni sono legate a doppio filo a speculazioni finanziarie e ancora più strettamente a strategie di potere. 

Prendiamo in esame la Russia e la Cina, che recitano un ruolo da protagonisti nello scacchiere delle strategie geopolitiche del grano. Già all’indomani dello scoppio del conflitto con l’Ucraina erano emerse le intenzioni di Vladimir Putin di sfruttare a proprio vantaggio la dipendenza mondiale dal grano. Fino a quel momento solo quattro aziende – Archer-Daniels Midland, Bunge, Cargill e Dreyfus, tutte nate negli Stati Uniti – controllavano più del 70% del commercio mondiale di cereali. 

L’assenza dell’obbligo di rivelare l’ammontare delle scorte, e le conseguenti speculazioni, avevano innescato un’impennata dei prezzi che ha acuito la crisi di paesi come Eritrea, Somalia ed Egitto, fortemente dipendenti dalle importazioni di frumento e di fertilizzanti. 

Dall’altra parte questo sistema ha garantito extra profitti alle multinazionali del settore alimentare, che secondo Greenpeace, si sono spartite, nell’arco dello scorso anno, oltre 53 miliardi di dividendi, una cifra maggiore di quella che servirebbe a salvare 230 milioni di persone dalla povertà estrema. 

La strategia di Putin si palesa quando, in apertura del summit Russia-Africa tenutosi a San Pietroburgo, annuncia una elargizione gratuita di 50mila tonnellate di grano dirette verso sei Paesi africani “amici”: Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea. Paesi che avevano mantenuto una posizione neutrale riguardo al conflitto con l’Ucraina. Tuttavia, nonostante le diverse crisi, fino al terzo trimestre del 2023 l’economia mondiale si è dimostrata più resistente del previsto, anche se le stime di crescita rimangono deboli. 

Secondo l’ultimo rapporto ISMEA relativo sempre al terzo trimestre 2023, la crescita globale nel 2024 dovrebbe essere inferiore a quella del 2023. Ma la produzione di grano è prevista in rialzo per la campagna 2023/24, come leggiamo nel rapporto di ottobre dell’USDA*. 

Resterà tuttavia difficile per molti paesi mantenere condizioni di sopravvivenza. Saranno principalmente le popolazioni della parte settentrionale del continente africano a subire le conseguenze delle scelte di altri. Paesi come Egitto, Algeria, Tunisia e l’intero Corno d’Africa sono condizionati dall’insicurezza alimentare. A questi si aggiungono il Sudan e la Somalia, martoriate da anni di conflitti interni. Siccità, conflitti e prezzi elevati, insieme a congiunture macroeconomiche, stanno aggravando l’insicurezza alimentare in molti Paesi, sottolinea la Fao. 

In più le tensioni nel Mar Rosso, esacerbate dal nuovo conflitto Israele-Hamas, influiscono negativamente sui costi di trasporto dei carichi che transitano attraverso lo stretto di Suez. 

E la Cina? Questo paese, secondo un rapporto USDA, risulta essere il primo produttore di frumento, con un raccolto di 137,72 milioni di tonnellate, pari al 17% del totale mondiale, anche se i contadini cinesi sono stati messi a dura prova da eventi atmosferici come siccità e alluvioni. Contemporaneamente la Cina, con 12 milioni di tonnellate acquistate, è il primo paese importatore di frumento, sempre secondo stime USDA. 

Inaspettatamente, dunque, il Paese asiatico ha acquistato grandi quantità di grano dagli Usa, fattore determinante per i rialzi dei prezzi sui mercati a termine statunitensi. Ma anche il Kazakistan, riferisce il portale Eurasianet, ha quadruplicato le esportazioni di prodotti agricoli verso la Cina nel 2022, Pechino si è accaparrata circa 2,2 milioni di tonnellate di prodotti come grano, orzo, semi di soia ecc. 

Mentre a gennaio 2024 il ministro per gli affari esteri cinese Wang Yi, come di consueto da qualche anno, si è recato in visita ufficiale in Egitto, Costa d’Avorio e Togo, fermandosi due giorni anche a Tunisi, preceduto dal ministro degli esteri russo Lavrov. La presidenza tunisina, secondo quanto riporta l’agenzia Nova, ha manifestato su Facebook la volontà di rafforzare la cooperazione bilaterale, sottolineando come il viaggio di Wang miri anche a finalizzare un accordo per realizzare progetti in settori nevralgici quali sanità, energie rinnovabili e le tecnologie della comunicazione. Notizie rassicuranti per la popolazione tunisina, che di frequente era scesa in piazza a manifestare il proprio malcontento a causa della crisi economica in cui versa il paese da qualche anno. 

A ben analizzare azioni e reazioni ad ampio raggio globale nell’arco di alcuni semestri, sembra possibile intravedere in filigrana come i giganti mondiali che hanno deciso di giocare su questo scacchiere della geopolitica, siano in grado di provocare crisi in paesi dove poi il loro intervento d’assistenza risulta benefico per i governi in carica, dietro concessioni non indifferenti, che infine rischiano di far diventare ancora più fragili questi stessi paesi e ancora più potenti i giganti della geopolitica del grano.

* USDA: United States Departement of Agriculture (Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti)