Green Deal e l’Agenda 2030: non è tempo di bilanci
L’ Europa è ad un bivio e le elezioni che si sono appena svolte sono le più importanti della storia del continente. Con il Green Deal, la Commissione europea di Ursula von der Leyen ha segnato la legislazione europea appena trascorsa, cercando sempre di mantenere, se non addirittura di rilanciare, gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Il Next Generation EU, il piano straordinario di investimenti lanciato dall’Ue per rispondere alla crisi del Covid-19, è un esempio dell’intenzione del Berlaymont di fare delle difficoltà un’opportunità di rilanciare il sogno europeo, a partire dalla sfida della transizione ecologica e digitale.
IIl settore agricolo è quello che più di ogni altro ha denunciato i maggiori segni di insofferenza, pressato dalla necessità di rivoluzionare il suo modello produttivo per garantire sicurezza alimentare razionalizzando le risorse. Sulla scia della protesta dei trattori, numerosi strumenti legislativi promossi nell’ambito del Green Deal hanno subito una battuta d’arresto, come la proposta di regolamento sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, che prevedeva misure per la riduzione del 50% nell’uso e nel rischio dei pesticidi chimici entro il 2030, a quella sul ripristino della natura, legge approvata al Parlamento Europeo ma ancora bloccata in Consiglio, fino alle recenti modifiche della PAC, storico braccio operativo della politica europea e delle strategie di punta dell’agenda verde europea in ambito agricolo dal produttore al consumatore, in inglese Farm to Fork (F2F), che punta a garantire una filiera sostenibile e sana a difesa degli elevati standard dei coltivatori europei.
Tutto ciò, però, non ha pregiudicato alcuni avanzamenti fatti da questa Commissione sugli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). La legge per la salute dei suoli e il regolamento sulla protezione degli animali durante il trasporto rappresentano provvedimenti significativi della politica europea contro l’erosione dei terreni e in materia di benessere animale. Senza dimenticare il piano d’azione per il biologico per raggiungere l’obiettivo di 25% di coltivazioni biologiche nell’UE al 2030 e il regolamento (UE) 2023/2674 sulla trasformazione della rete d’informazione contabile agricola in una rete d’informazione sulla sostenibilità agricola, che persegue la finalità di raccogliere dati sulla sostenibilità a livello di azienda agricola.
Sul commercio internazionale, altro pilastro della strategia F2F, degno di nota l’innovativo regolamento europeo sul commercio in Ue di materie prime e prodotti associati alla deforestazione e al degrado forestale. Il regolamento risponde alla necessità di affrontare e correggere in modo strutturale la responsabilità dell’UE sulla deforestazione, quantificata nel 10% della deforestazione mondiale associata alla produzione di beni o servizi importati sul mercato europeo, incluso i prodotti derivati da deforestazione quali cacao, caffè, soia, olio di palma. Il regolamento stabilisce un sistema di dovere di diligenza obbligatorio a più livelli, basato su una definizione di assenza di deforestazione, che si applicherà a tutti i paesi membri entro giugno 2025.
Integrata nello stesso contesto è la proposta di regolamento europeo che vieta i prodotti ottenuti con il lavoro forzato sul mercato dell’Unione o esportati dall’Unione verso paesi terzi, approvata dal Parlamento Europeo il 23 aprile 2024. Le autorità competenti dovrebbero valutare i rischi di lavoro forzato sulla base di una serie di fonti di informazione diverse, quali le comunicazioni della società civile, una banca dati delle zone o dei prodotti a rischio di lavoro forzato, nonché informazioni sull’eventuale adempimento degli obblighi in materia di dovere di diligenza per quanto riguarda il lavoro forzato da parte delle imprese interessate.
Meno recente, ma altrettanto incisiva è la COM (2022) n.226 che prevede l’applicazione delle norme sanitarie e ambientali dell’Ue ai prodotti agricoli e agroalimentari importati. Tutte iniziative, queste ultime, che aiutano in parte a “smontare” le recenti polemiche in merito agli effetti collaterali su alcuni accordi di libero scambio che l’Ue è in procinto di sottoscrivere con alcuni partner internazionali, come l’accordo Ue Mercosur. ancora in fase di stallo.
Da un punto di vista legislativo, l’agenda verde europea può considerarsi sostanzialmente completata. Se noi guardiamo alla storia comunitaria, l’ultima agenda realizzata nella sua totale interezza fu quella del 1992 sul mercato interno, che allora alimentò non poche critiche tra gli Stati Membri. Oggi viviamo un momento simile con il Green Deal, soprattutto perché ancora è difficile stabilire i benefici, a differenza dei costi, che sono più immediati, soprattutto per le categorie che vivono le trasformazioni più significative come l’agricoltura.
Tuttavia, non è ancora tempo di bilanci. Se è vero che in questi ultimi anni l’Ue ha mobilitato una quantità significativa di denaro sullo sviluppo sostenibile, il Green Deal europeo ha bisogno di ulteriori investimenti per un arco di tempo che va ben oltre l’orizzonte del Next Generation Eu (2026). Secondo le stime della Commissione, per raggiungere il net zero entro il 2050 sono necessari 620 miliardi di euro l’anno, la Banca Europea degli Investimenti parla di 1 trilione mentre l’Intergovernmental Panel on Climate Change di 800 miliardi. Ecco che allora avere un piano per accelerare gli SDGs e una legislazione in grado di favorire gli investimenti pubblici e privati risulta decisivo.
La sfida per la prossima Commissione sarà quella di mettere a punto nuovi strumenti comuni, a partire dalla realizzazione di un fondo sovrano europeo per la transizione, oltre che di una ulteriore flessibilità strategica a favore degli investimenti verdi da inserire all’ interno del Patto di Stabilità e, a livello legislativo, di un rafforzamento delle regole del mercato unico al fine di proteggere le imprese europee dalla concorrenza sleale lungo la filiera produttiva. Se queste iniziative dovessero essere intraprese, l’agricoltura dovrebbe essere senza dubbio il settore verso il quale orientare la maggior parte degli sforzi, soprattutto per accompagnare la transizione delle piccole e medie aziende agricole e delle aree rurali, dove la maggior parte di queste realtà opera.
IL’impegno degli Stati membri e delle forze politiche al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 è pressoché unanime, ma la polarizzazione dell’offerta politica propone ricette molto diverse e difficilmente conciliabili. In questo scenario, se non esistesse il Green Deal, saremmo davvero senza una bussola strategica e in un mondo che si muove con maggiore decisione verso il multipolarismo, con l’ascesa di potenze come la Cina, l’India e il riposizionamento degli USA su una politica industriale verde competitiva con l’Inflation Reduction Act, avere un’agenda politica che ha come ambizione primaria l’autonomia strategica dell’Europa è veramente un buon punto di partenza e…. una buona notizia.