Glifosato: vince l’incertezza, l’autorizzazione rinnovata per altri 10 anni
Dopo due tentativi falliti di trovare una maggioranza qualificata di Stati membri a sostegno o contro il rinnovo, nel Comitato permanente – 13 ottobre – e nel Comitato di appello – 16 novembre – la Commissione Ue si è trovata nella scomoda posizione di prorogare l’autorizzazione del contestato erbicida. In una nota precisa quindi che la legislazione europea la obbliga ad adottare un regolamento di attuazione quando non viene raggiunta una maggioranza qualificata, sia a favore che contro, e aggiunge che stavolta il rinnovo è soggetto ad “alcune nuove condizioni e restrizioni”, tra cui il divieto di uso pre-raccolta come essiccante.
La decisione finale è in capo agli Stati
Rimane un punto fermo: l’utilizzo del glifosato è possibile, non dovuto. L’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva rimane sotto la responsabilità degli stati membri. Dopo il rinnovo dell’approvazione a livello Ue, ogni autorizzazione del prodotto esistente deve essere rivista.
Per quanto riguarda le decisioni assunte dai singoli stati europei, la Francia si è prefissa di ridurne l’uso per poi eliminarlo completamente nel giro di pochi anni e voleva far passare questa linea anche a livello europeo. Ora dovrà rispondere a chi chiede conto di questo fallimento ma anche a chi teme che gli agricoltori francesi subiscano la concorrenza dei competitor che possono usare molto più liberamente il glifosato. L’Olanda invece ne vieta la vendita ai privati per uso casalingo. Tra gli stati che si sono espressi a favore del rinnovo dell’autorizzazione l’Italia, mentre contro la proposta hanno votato: Austria, Croazia e Lussemburgo. Si sono invece astenuti Germania, Francia, Belgio, Bulgaria, Paesi Bassi e Malta.
Che cos’è il glifosato e come viene utilizzato?
Nel 1974 entrò in commercio il Roundup®, il primo diserbante contenente glifosato, che ad oggi è l’erbicida più diffuso al mondo. La molecola non selettiva del diserbante viene assorbita principalmente attraverso le foglie e da qui è trasportato in tutta la pianta, è un erbicida sistemico e cioè inibisce la produzione di una proteina essenziale per la crescita delle piante. Trova largo impiego sia in agricoltura che in ambito civile.
I primi impieghi si limitavano all’eliminazione completa di organismi vegetali presenti in un’area; prima della semina o dopo il raccolto, ma anche sui vialetti delle abitazioni e sulle tratte dei binari ferroviari. Dal 1996 con l’introduzione degli OGM cambia tutto, le nuove piante geneticamente modificate erano capaci di crescere anche in presenza di glifosato per cui inizia un impiego su larga scala e in presenza di colture. Attualmente sono in commercio più di 750 formulazioni ad azione erbicida contenenti glifosato, si stima che ne vengano applicate da 0,6 a 1,2 milioni di tonnellate all’anno in più di 130 paesi del mondo.
Rischi per la salute e per l’ambiente
Molto controverso il dibattito sui rischi connessi all’impiego dei prodotti a base di glifosato in agricoltura. Non tutto il prodotto utilizzato raggiunge le foglie, depositandosi sul terreno. Il dilavamento, ad opera della pioggia o degli impianti di irrigazione, trasporta l’erbicida ai canali e ai fiumi, attraverso i quali può raggiungere il mare.
Gli effetti dell’impiego di questa sostanza sono oggetto di studio in varie parti del mondo. Le informazioni disponibili in letteratura e i dati raccolti presentano un quadro poco rassicurante secondo il profilo eco-tossicologico. Gli effetti negativi sono stati accertati in varie specie di organismi acquatici e non solo, vi sono studi che ne certificano la tossicità su alghe, rettili, uccelli, anfibi e mammiferi terrestri.
Il glifosato inoltre è stato associato a una serie di effetti negativi sulla salute umana e ambientale. Alcuni studi scientifici hanno dimostrato che il pesticida può causare cancro, problemi riproduttivi e danni al sistema nervoso. Inoltre, concentrazioni ritenute dannose sono state rinvenute in alimenti, tipo pasta, nell’acqua e nell’aria, sollevando non poche preoccupazioni per la contaminazione ambientale.
La normativa dell’Unione europea e negli Stati Uniti
Negli anni il glifosato viene studiato e dibattuto internazionalmente. Un primo studio europeo del 2012 sull’impiego del glifosato effettuato su cavie da laboratorio sembrava averne dimostrato la cancerogenicità. Tuttavia, lo studio è stato ritrattato per problemi legati al metodo, i dati non sono mai stati replicati in studi di qualità superiore. Nel dicembre del 2017 il Parlamento europeo aveva rinnovato l’autorizzazione all’utilizzo. Per poterne bandire l’uso sarebbe stato sufficiente dimostrare che la sostanza è cancerogena, oltre che tossica per l’ambiente, conclusione che è stata negata sia dall’Agenzia europea sulle sostanze chimiche (Echa), che da quella che si occupa di sicurezza alimentare (Efsa). Gli studi condotti in laboratorio certificano che il glifosato provoca danni genetici e stress ossidativo, (dunque cancerogeno), tuttavia negli studi condotti sugli esseri umani la cancerogenicità non è stata ancora dimostrata con assoluta certezza.
La IARC, di conseguenza, lo ha inserito nella categoria dei “probabili cancerogeni” e non in quella dei “cancerogeni certi”. Anche OMS e FAO restano sullo stesso versante dell’impiego con cautela, parlando di divieto di utilizzarlo in aree densamente popolate e necessità di riesaminare i livelli massimi di residui di questa sostanza che per legge possono essere presenti dentro e sopra gli alimenti. Una sorta di scarico di responsabilità legato all’assenza di studi scientifici che ne dimostrino il legame diretto con l’insorgenza del cancro nell’uomo.
Altra storia quella negli USA, dove in seguito alla famosa inchiesta ‘Monsanto Papers’, i giudici di numerosi Stati hanno condannato la multinazionale proprietaria del brevetto a pagare cifre elevate ad agricoltori che avevano fatto ricorso contro l’azienda per i danni alla salute provocati dall’esposizione all’erbicida.
Politica e lobby
Il brevetto del Glifosate di proprietà della Monsanto era scaduto nel 2001, da quel momento sono numerose le aziende che lo producono. Nel 2018 è stato acquisito dalla Bayer, che ha accolto con favore l’annuncio della Commissione europea. “Il rinnovo – secondo il portavoce della multinazionale farmaceutica – ci permette di continuare a fornire una tecnologia importante agli agricoltori dell’Unione europea”.
Il sospetto che ci sia l’influenza delle multinazionali produttrici su tale mancanza di presa di posizioni, e soprattutto sull’assenza di studi scientifici in materia condotti da organismi indipendenti, si fa strada in maniera sempre più decisa. Risulta infatti che la maggior parte degli studi sugli effetti del glifosato siano stati condotti dalle stesse case produttrici o da società da queste controllate. Le aziende produttrici capeggiate da Bayer hanno cura di diffondere studi secondo i quali la riduzione dei pesticidi minerebbe la sicurezza alimentare del pianeta a causa della conseguente scarsità dei raccolti.
Questo l’alibi per la politica, che lo sta utilizzando a piene mani ora che il rinnovo è certo per rispondere alle critiche di molte organizzazioni della società civile. Carestia o cancro: sembrano queste le due facce di una medaglia che non prende in considerazione che l’utilizzo di sostanze dannose come il glifosato hanno nel lungo termine un impatto negativo, danneggiando ecosistemi e distruggendo la biodiversità, elementi indispensabili di quella sbandierata sicurezza alimentare, invocata dalle lobby, che tanto sicura non pare.