Nel nostro Paese abbiamo bisogno di più agricoltura (e più agricolture)

di Massimo Fiorio
Già Deputato e componente della Commissione Agricoltura, è autore della Legge sull'Agricoltura Sociale approvata in via definitiva nel 2015. Sua la proposta sull'agricoltura biologica. È stato relatore del cosiddetto Testo Unico della Vite e del Vino che apporta notevoli semplificazioni al comparto.

Finalmente è stata approvata la Legge sulle produzioni Biologiche. Il Parlamento ha chiuso una battaglia, in cui sono entrate con prepotenza alcune lobby esterne che per anni hanno fermato quello che era naturale che fosse per un paese come l’Italia ovvero il riconoscimento pieno di una modalità di agricoltura, di una tipologia di prodotto e di un settore che è cresciuta moltissimo nel nostro paese, che rappresenta un fattore d’innovazione per tutta l’agricoltura e che è in grado di attirare le  giovani generazioni: l’agricoltura biologica.

Quando diciamo che ci sono lobby che hanno cercato di ostacolarne l’approvazione, sappiamo che possiamo fare sorridere qualcuno che può esclamare: ci mancavano i complottisti del biologico.

In realtà è alla luce del sole chi in maniera diversa, con argomenti differenti, si è schierato contro nelle commissioni e nelle aule parlamentari, sulle pagine dei giornali non solo specialistici, nelle Tv. Era chi riteneva e ritiene che ci sia un’agricoltura sola, un tipo di produzione solo, un modo unico di coltivare la terra. Un tipo di agricoltura che legittimamente fa uso di agrofarmaci, di prodotti di sintesi, che, va ammesso ed è giusto farlo, non sono più quelli di 30 anni fa, con il medesimo impatto ambientale.

Tuttavia quello che è avvenuto nel dibattito politico istituzionale è stata una battaglia per riconoscere che ci sono più agricolture e che chi fa Bio non è uno stravagante coltivatore innamorato in modo idealistico dell’ambiente. Non ci voleva una legge per legittimare l’agricoltura biologica italiana perché è il mercato che da anni ci dice che l’Italia è il secondo esportatore mondiale di agricoltura biologica dopo gli USA e il primo in Europa. Basta dare un’occhiata agli alimenti più venduti dalle piattaforme digitali.

In realtà l’innamoramento per il biologico arriva da lontano: è Bruxelles che ha incentivato quelle produzioni ed ora si appresta con le politiche del cosiddetto Green New Deal e del Farm to Fork a spingere i paesi membri verso ulteriori scelte produttive a basso input di chimica citando e sostenendo la conversione al biologico degli agricoltori comunitari. L’ampliamento dell’agricoltura biologica al 25% del suolo coltivato in Europa è l’obiettivo delle nuove strategie europee e per questo il piano di sviluppo del BIO prevede di impiegare in questa direzione almeno il 30% dei fondi per la ricerca in agricoltura.

La legge quadro nazionale che rimbalza nelle aule del Parlamento dalla scorsa legislatura fornisce alcuni strumenti soprattutto in termini di aggregazione di prodotto e di produttori per superare il nanismo aziendale italiano, ci riferiamo alla possibilità di dare vita a Organizzazione di Prodotto di biologico; viene stabilita una quota di risorse proveniente dalla vendita dei fitormaci per la ricerca nel comparto BIO e finalmente si fa chiarezza circa i cosiddetti distretti del biologico affinché territori a vocazione biologica trovino in quel comparto un volano di sviluppo.

Diciamocelo, l’Italia è in una situazione ottimale per fare biologico, molte aree della penisola sono baciate dal sole con tassi di umidità molto bassa, consentendo alle aziende di optare per quella scelta in modo più coerente.

Se negli anni precedenti le polemiche si erano alzate contro il BIO in generale, sostenendo che si tratta di una produzione che consuma più terreno di quella intensive, oggi quelle critiche appaiono anacronistiche per le scelte comunitarie e soprattutto perché in un paese dove il consumo di suolo agricolo avviene per lo spaventoso tasso di abbandono delle terre questo discorso è senza senso. Noi abbiamo bisogno di mettere in produzione più suolo sottraendolo dall’incolto e se il biologico è una strada, ben venga.

Ciò che è stato nell’occhio del ciclone di un dibattito che come avvien spesso in questo paese ha l’aspetto più della tifoseria da stadio che di un confronto costruttivo questa volta è stato il biodinamico. Ma diciamolo senza tema di smentita il tema del biodinamico è stato il grimaldello per far naufragare tutta la legge sul Bio.

La pietra dello scandalo per alcuni è stata l’equiparazione tra Biologico e biodinamico, in realtà chi è onesto intellettualmente sa benissimo che ci si riferisce alle produzioni biodinamiche certificate che guarda caso per essere tali devono essere certificate in biologico.

Questa disposizione è stata sostenuta fortemente dall’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e della Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), che è il Dipartimento del Ministero dell’agricoltura preposto al controllo e alla sanzione delle infrazioni sulla qualità degli alimenti.

Il riferimento esplicito è stato introdotto per garantire una maggiore incisività dei controlli e una maggiore efficacia dell’azione di deterrenza e di sanzione dei comportamenti scorretti, perché appunto non si sarebbero più basati solo sul rispetto di disciplinari, ma sul rispetto di una norma in Legge.

Vogliamo sgombrare il campo da polemiche sterili perché crediamo che chiunque faccia impresa lo faccia per ragioni economiche che consentano di remunerare il proprio lavoro. Tra l’altro non a caso l’agricoltura si chiama settore primario perché è il settore economico di base. In un quadro del genere la libertà di scegliere cosa e come produrre per consumatori che sono liberi di consumare ciò che vogliono è un principio liberale minimo.

In agricoltura c’è lo spazio per scegliere come e cosa coltivare. Bene ha fatto il legislatore dopo anni di ritardo a dare un segnale che non è solo di riconoscimento formale, ma a fornire strumenti per far crescere il nostro biologico, per stare sul terreno di paesi che come la Spagna stanno facendo passi da gigante in quella direzione.

Questa legge funziona e funzionerà se assieme ad essa il Piano Strategico che ogni due anni il Ministero dovrà redigere con il concorso delle sigle del Bio individuerà adeguatamente gli ambiti di intervento da intensificare nel settore mettendo a frutto le risorse liberate dalla legge primaria e se il Decreto Controlli sempre di competenza del MIPAAF sarà modificato in modo da favorire un migliore rapporto tra certificatori e produttori.