Le aziende agricole affrontano la crisi aumentando la vendita diretta: +5% e 6,5 mld di fatturato
Il report AgriMercati di Ismea fotografa il II trimestre del 2020
Il lockdown ha stimolato molte imprese agricole a individuare nuove soluzioni per superare le difficoltà logistiche e organizzative dei canali consueti orientandosi così verso la vendita diretta. Un fenomeno che va letto anche come segnale promettente dell’orientamento verso una filiera agroalimentare più corta e sostenibile.
Secondo i risultati dell’indagine trimestrale sulle aziende agricole realizzata dall’ISMEA, l’emergenza Covid-19 ha determinato un sensibile aumento del numero delle imprese agricole che praticano la vendita diretta e, di conseguenza, il fatturato di questo canale che, nel 2020, supererà i 6,5 miliardi di euro.
I produttori che quest’anno hanno scelto di accorciare la filiera, raggiungendo in autonomia il consumatore finale, sono il 21,7% del campione analizzato, percentuale che aumenta di circa il 5% rispetto al 2019 (17%). Non solo: chi ha adottato il canale di vendita diretta, vi destina mediamente l’82% della produzione aziendale, quota che nel 2019 era del 73,1%. Nel 2020 la vendita diretta diventa così il terzo canale scelto dagli agricoltori, dopo il conferimento a cooperative, consorzi e OP (indicato da quasi il 39% dei rispondenti) e la vendita a grossisti e intermediari commerciali (indicato dal 25%).
A giugno segnali positivi per l’export agroalimentare
Dopo il calo di aprile (-1,5%) e il tonfo di maggio (-10,2%), a giugno torna ad aumentare l’export agroalimentare italiano, con un +3% su base tendenziale. Grazie alla performance particolarmente brillante dei primi due mesi del 2020 (+10,8%), il consuntivo del primo semestre 2020 tocca i 22,1 miliardi di euro, con una crescita del 3,5% su base annua. Questo risultato dimostra le doti anticicliche del comparto, soprattutto se si pensa che nello stesso periodo l’export complessivo ha perso il 15% rispetto ai primi sei mesi del 2019. La flessione delle spedizioni oltreconfine del periodo aprile-maggio ha riguardato in particolare prodotti dell’industria dolciaria, caffè, prosciutti e altre conserve suine, liquori, formaggi Grana Padano e Parmigiano Reggiano, Prosecco, vini confezionati, acque minerali, olio d’oliva. Al contrario, queste flessioni sono state attenuate dall’export di pasta, conserve di pomodoro, riso e mele. La ripresa delle esportazioni di giugno ha riguardato più i volumi, che il valore, di quasi tutti i prodotti agroalimentari nazionali. Un segno negativo si registra anche per le importazioni agroalimentari. La flessione dell’import del comparto nei primi sei mesi del 2020 è stata del 4,5%; nel dettaglio, dopo il -12% di aprile e il -20,3% di maggio, a giugno c’è stata un’attenuazione, con un -4,5% su base annua. A contribuire ai segni negativi sono state soprattutto le importazioni di caffè, olio d’oliva, prosciutti freschi, zucchero, cacao, carni suine e vitelli, più in generale soprattutto materie prime e prodotti intermedi impiegati dall’industria nazionale per la produzione di prodotti trasformati, che a loro volta hanno sofferto il rallentamento della domanda nazionale ed estera dei prodotti più orientati all’Horeca. Le dinamiche dei flussi hanno in definitiva portato in territorio positivo il saldo della bilancia commerciale agroalimentare nel primo semestre del 2020 per un valore di 710 milioni di euro.