Il G20 di Firenze e le preoccupazioni sulla produzione di cibo

La città di Firenze ha ospitato nel mese di settembre il G20 sull’Agricoltura. A questo evento annuale, che si svolge regolarmente dal 2015, si sono incontrati i Ministri dell’Agricoltura delle principali economie del mondo per condividere le proprie visioni su un’agricoltura sostenibile in grado di sfamare, anche nel futuro, una popolazione mondiale stimata in forte aumento.

Il piatto forte di questo G20 a guida italiana è stato, quindi, il tema di come raggiungere la cosiddetta food security, la sicurezza alimentare, ovvero di come continuare a produrre cibo per una quantità di persone sempre crescente, in sempre meno spazio e riducendo al massimo l’impatto nell’ambiente da parte dei suoi produttori.

È questo un rischio emergente che, secondo il nostro Ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli, pone interrogativi sulla prosperità delle persone che abitano il Pianeta e che lo abiteranno in futuro. Da un recente studio OCSE, infatti, risulta preoccupante il disequilibrio che si sta andando a creare fra la contrazione delle terre fertili coltivabili e l’aumento della domanda di cibo. La prima causata dai cambiamenti climatici e dalla cementificazione selvaggia e, a volte, scellerata, la seconda dall’aumento incontrollato della popolazione mondiale che nei prossimi trent’anni potrebbe crescere fino a toccare quota 10 miliardi di persone, con la conseguenza diretta di un esponenziale aumento della domanda di cibo a cui corrisponde la necessità di produrne di più.

A tal proposito, le testimonianze dei Ministri del G20 sembrano portare ad una visione di agricoltura futura che sappia efficientare
“scientificamente” le risorse utilizzate con il supporto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), ovvero quell’insieme di metodi e tecniche utilizzate nella trasmissione, ricezione ed elaborazione di dati e informazioni che possano garantire una coltivazione più sostenibile dal punto di vista ambientale, ma anche economico e sociale.

Un esempio concreto è stato fatto dal Ministro spagnolo, Luis Planas, con l’irrigazione smart che, grazie all’utilizzo di una rete di sensori, monitora in tempo reale i parametri del suolo, delle acque e le condizioni meteorologiche ed elabora quindi consigli per l’irrigazione personalizzata in aree che sono colpite dal problema della salinizzazione del suolo e che presentano fenomeni di desertificazione. Interessante anche, la testimonianza dell’Amministratore Delegato dell’Agenzia Alimentare di Singapore, Lim Kok Thai. La città stato di Singapore ha poca terra fertile a disposizione e, partendo da questa peculiarità territoriale, sta sviluppando un progetto di coltivazione acquaponica urbana che si sviluppa in verticale, sui tetti delle abitazioni e dei grattacieli, e che garantisce un minor consumo di suolo e al contempo una maggiore produttività.

Le soluzioni per un’agricoltura del futuro che sia in grado di soddisfare la richiesta di cibo sono chiaramente molteplici e rispecchiano le differenze territoriali in cui i coltivatori di tutto il mondo devono operare; questo non ha fermato ma stimolato i dibattiti e il G20 dell’Agricoltura si è poi concluso con la firma da parte di tutti i Ministri partecipanti della Carta di Firenze, il documento finale del Summit in cui con chiarezza, come riconfermato dal Ministro Patuanelli, è stato posto l’accento sull’importanza dell’innovazione e del trasferimento tecnologico per consentire al settore agricolo di vincere la sfida della transizione verso sistemi alimentari compatibili con la salute del Pianeta e dell’uomo.

Da tutto ciò ci si aspetta quindi che i coltivatori italiani, evidentemente chiamati a confrontarsi con il mondo su come continuare a produrre cibo di qualità, colgano le sfide dell’innovazione per portare avanti la produzione delle proprie distintività con aggiornate conoscenze e competenze.

Tali distintività, spesso rappresentate dai cibi biodiversi, presentano un rischio concreto di “sicurezza alimentare ed estinzione” causato dalla concorrenza sleale e dalla contraffazione delle etichette, elementi questi ultimi che creano un danno diretto al reddito del coltivatore e ingannano le scelte dei consumatori.

Per l’Italia diventa quindi vitale l’obbligo di vigilare su quello che l’AIC, da tempo, definisce “appropriazione indebita dell’identità di brand dei propri coltivatori” ai fini della sostenibilità dell’agricoltura del Paese e anche del mondo nel suo complesso.