Fermata Aree Interne: evento AIC sul patrimonio unico da rigenerare nei piccoli borghi

L’AIC ha avviato una riflessione sulle politiche che è necessario mettere in campo nelle Aree interne del paese, e soprattutto nel Sud, puntando a sfruttare le potenzialità tradizionali – ad esempio delle imprese agricole trainanti per l’economia di questi territori – e le nuove porte che può aprire la tecnologia. All’interno della cornice della Città dell’Altra Economia, a Roma, il presidente di AIC Giuseppino Santoianni ha lanciato l’appello dell’organizzazione a «rilanciare la Strategia Integrata per le Aree Interne e darle solide gambe legate ai servizi essenziali, alle comunità locali e alle produzioni agricole eccellenti che vantiamo. Questo vuole essere un percorso che l’AIC porta avanti mentre entra nel 55esimo anno di vita, con analisi e proposte politiche di intervento, anche perché nelle Aree interne vive ancora quasi un quarto della popolazione italiana».

A supportare il suo appello, le analisi e i dati di Openpolis (qui a fondo pagina), portati al dibattito dal direttore editoriale Vincenzo Smaldore, che evidenziano come la distanza tra poli e periferie sembri aumentare nel tempo mentre lo spopolamento è una costante. Eppure c’è un’altra faccia della medaglia, fatta di potenziali soluzioni a portata di mano, in attesa che qualcuno le individui come tali, le metta in rete e avvii il meccanismo della ‘rigenerazione’.

Abbiamo già detto dell’agricoltura, ma riprendendo Francesco Monaco, «le Aree interne sono riserva di fonti energetiche primarie come acqua e vento, di biodiversità, forniscono servizi eco sistemici essenziali, e poi i beni archeologici e paesaggistici, le culture e i saperi sedimentati, un senso di comunità essenziale per affrontare il cambio di paradigma che ci impone la doppia transizione ecologica e digitale in atto».

Ne ha parlato al nostro dibattito Leandro Ventura, direttore di Icpi (Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale) del Ministero della Cultura, che tutela e promuove i beni immateriali, come ad esempio saperi legati al mondo agroalimentare, ma anche le molte lingue che da secoli vengono parlate e tramandate, insieme a interi patrimoni culturali, da comunità che vivono nelle Aree interne. Una di queste è la lingua Arbëreshe, oggi parlata da piccole comunità presenti in tutte le regioni del Mezzogiorno, legata ai territori albanofoni al di là del mare, che gli esuli dovettero abbandonare cinque secoli fa, costretti dall’avanzata dell’impero ottomano, e che oggi sono raggiungibili in meno di un’ora con voli low cost. Una resistenza culturale, quella degli Arbëresh, che ha portato Pasolini a definirli «un miracolo antropologico», e che oggi può tramutarsi in beneficio diffuso per territori che diventano attrattori turistici proprio in virtù delle unicità culturali che li abitano.

A provare a renderlo possibile c’è Lorik Cana, storico capitano della squadra nazionale albanese di calcio e ora anche attivista di una causa che mira da una parte a tenere in vita la lingua Arbëreshe in Italia, e dall’altra a intensificare i ponti tra queste comunità e i paesi albanofoni dei Balcani, in primis l’Albania. L’impegno consapevole di molte donne arbëreshe è la chiave per intrecciare tradizione e innovazione, tenendo viva lingua e cultura grazie a una rete internazionale da cui trarre la forza per superare le fragilità insite nei piccoli paesi dove vivono.

Ne è convinto Lorenzo Fortunati, che su questo ha scritto anche un libro, “Futuro in Arbëria: visioni di donne”, presentato in occasione del dibattito.

Infine cultura e gastronomia si sono fuse nello show cooking di Lucia Martino e Maria Carmela Alfano. Grazie a loro e al Collettivo Gastronomico Testaccio, che ha messo a disposizione i propri spazi, i partecipanti hanno potuto assaggiare le shtridhëlat, pasta fatta a mano della tradizione arbëreshe, abbinata al vino di Tenute Ferrari, azienda associata ad AIC i cui vigneti si sviluppano sul Pollino, luogo benedetto e al contempo difficile. La titolare Cinzia D’Agostino ha parlato al pubblico di entrambi questi aspetti, spiegando la sua scelta di investire economicamente e personalmente in questo territorio.

27,7I minuti di distanza di un comune delle aree interne rispetto al polo più vicino, in cui sono presenti i servizi essenziali. Per le zone ultra periferiche, la distanza supera i 66 minuti.
3834i comuni italiani nelle aree interne. Il 67,4% si trova nel Mezzogiorno
13,4Milioni il numero di abitanti che nel 2020 vive nelle aree intermedie, periferiche e ultra periferiche. È pari al 23% della popolazione italiana. Circa la metà di questi è donna
48,9La percentuale di comuni delle aree interne che si trovano in zone montuose. Seguono le aree collinari (42,4%) e quelle di pianura (8,7%).
10,9La percentuale delle aree interne interessate da fenomeni franosi nel 2020 (5,6% nei centri).
49,6La percentuale di popolazione esposta a rischio sismico elevato e molto elevato nelle aree interne (per i centri il dato scende al 36,5%).
-19I residenti dal 1951 al 2019 in comuni periferici e ultraperiferici, i più distanti dai servizi. In aumento invece i comuni polo (+30,6%).
-1,2I milioni di residenti in meno nelle aree interne del mezzogiorno, nello stesso periodo.
196L’indice di vecchiaia nelle aree interne, nel 2020 (nei centri il valore è pari a 179). Nei comuni ultra-periferici ci sono 223 anziani ogni 100 giovani.
20Ogni 100 bambini i posti negli asili nido dei comuni periferici e ultra-periferici nel 2021 (15,7 in questi ultimi).
17La percentuale degli addetti alle unità locali di industria e servizi che operano nelle aree interne. Si occupano principalmente di attività artigianali.
38,6La percentuale di contribuenti Irpef che dichiarano sotto i 10mila euro registrati nel 2020 nelle aree ultra periferiche nazionali. La quota cala avvicinandosi ai centri con più servizi: nei comuni polo sono il 27,8%.
43,7La percentuale dell’incidenza di contribuenti Irpef sotto i 10mila euro registrati nello stesso anno nelle zone periferiche e ultra periferiche del sud. Alta incidenza anche in quelle delle isole (43,4%).
20,9La percentuale dei comuni a vocazione turistica marittima che fanno parte delle zone ultra periferiche. Per quelle montane si tratta del 19,9%.
92,6Milioni le presenze nelle strutture ricettive situate nelle aree interne, nel 2020 (il 44% del totale).
1,9Ogni 10mila abitanti la disponibilità di biblioteche nelle aree interne, una quota maggiore rispetto ai centri (1,1). Valori più alti anche per i musei (1,4 rispetto a 0,6).
57,6La percentuale delle aziende agricole si trova nel Mezzogiorno
4,3La percentuale di conduttrici di azienda agricola donne e di età inferiore ai 45 anni nelle isole: la macro-area che registra la quota più elevata.
le Aree interne | elaborazione dati a cura di AIC / Openpolis