Nel suo articolo per Fondazione Feltrinelli – “Tre proposte per un’Italia più giusta, contro ogni virus” – il sociologo Marco Omizzolo cita anche l’appello lanciato da AIC. In questo appello si chiede agli italiani che non stanno lavorando di aiutare le imprese agricole in sofferenza per la scarsità di manodopera stagionale, un atto patriottico per la sicurezza alimentare italiana. AIC chiede altresì la regolarizzazione degli immigrati sfruttati al nero, spesso vittime di caporalato. È un atto di umanità, che aiuta anche a combattere le agromafie.
Di seguito l’articolo:
Secondo l’ultimo Rapporto Italia di Eurispes, “gli immigrati regolari in Italia sono circa cinque milioni, pari all’8,7% della popolazione, e gli irregolari circa cinquecentomila, la loro presenza è decisamente inferiore a quella che si registra in molti altri paesi. I lavoratori immigrati in Italia producono il 9% del Pil, circa 139 miliardi di euro annui; il denaro che spediscono ai loro familiari (6,2 miliardi annui) è molto più importante per il sostegno ai paesi di origine di quanto non sia quello che l’Italia destina agli aiuti internazionali allo sviluppo. Chi dice “aiutiamoli a casa loro”, sostenendo che si debbano finanziare i paesi di origine, trascura il fatto che siano proprio gli immigrati, con le loro rimesse, che si aiutano da soli a casa loro. Inoltre, i dati ufficiali sono nettamente in positivo per lo Stato. Il bilancio tra costi e ricavi segnala un saldo attivo di 3,9 miliardi… Gli immigrati versano 14 miliardi annui di contributi sociali e ne ricevono solo 7 tra indennità di disoccupazione e pensioni. I loro contributi ci permettono di pagare oltre 600.000 pensioni. Di fronte a questa rassegna di dati inoppugnabili, quand’è che la Politica smetterà di cercare consenso sulla pelle (nera) dei profughi e sulla pelle del futuro economico del Paese?”.
Una domanda che assume un senso particolare in questa Italia vittima del coronavirus. Tenere insieme il Paese, guidarne le istanze e le tensioni, difendere il suo impianto democratico partendo dai diritti e dai bisogni dei più fragili ed emarginati, è fondamentale per impedire, una volta guarito dalla pandemia, che si ritrovi irrimediabilmente spaccato tra chi ha e può e chi non ha e non può che accettare le condizioni di lavoro del padrone o d’emarginazione e ghettizzazione. Secondo il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, “l’Italia da tempo disporrebbe non di un solo Pil ma di tre: uno ufficiale di circa 1.600 mld di euro, uno sommerso da 540 mld (il 35% di quello ufficiale) e uno criminale che supera abbondantemente i 250 mld di euro. La crisi riconducibile al Covid-19 ha, di fatto, bloccato in gran parte l’economia ufficiale, quasi del tutto l’economia sommersa e inflitto pesanti perdite a quella criminale…Il vero problema sarà, nelle prossime settimane, quello di gestire la scomparsa del sommerso che è stato (piaccia o non piaccia) nel corso degli ultimi decenni un vero e proprio ammortizzatore sociale, che ha permesso agli italiani di superare l’onda provocata dalla crisi economica partita nel 2007/2008…”. Si aggiunga l’allarme lanciato da alcuni importanti magistrati antimafia. De Raho e Gratteri, ad esempio, come anche il Ministro dell’Interno, invitano a prestare massima attenzione alla capacità delle mafie di radicarsi in settori economici nuovi o di radicarsi ancor più nelle loro attività tradizionali. Tra queste occorre fare attenzione al diffondersi del racket e allo sfruttamento lavorativo di migliaia di lavoratori e lavoratrici, soprattutto stranieri, nelle campagne italiane, alla gestione di parte della logistica e dei mercati ortofrutticoli, per un business che, secondo lo studio Agromafie di Eurispes, sfiora i 25 miliardi di euro l’anno. Crisi sociale, economica, sanitaria e dei diritti, dunque, che richiede un impegno immediato. Tiziano Treu, presidente del Cnel, afferma che “la crisi globale che ci ha colpiti ha messo in difficoltà molte delle istituzioni fondamentali dell’economia e del lavoro, a cominciare dalla sanità pubblica ma in generale tutto il sistema di welfare e di protezione dei cittadini e dei lavoratori”. E per questo invita a rinnovare presto i contratti collettivi di lavoro “di cui il 59%, già scaduto da tempo, … perché in questa fase rappresenta un contributo decisivo a sostenere la domanda interna del nostro Paese che oggi è più che mai necessario”.
Sono necessarie proposte coraggiose, in grado di rispondere ai bisogni di milioni di italiani in difficoltà e a decine di migliaia di migranti, spesso irregolari, emarginati e sfruttati.
Tra queste, in primis, la regolarizzazione dei migranti privi del permesso di soggiorno che vivono condizioni di emarginazione sociale, sfruttamento, privazione di diritti, ovviamente con buona pace dei sovranisti italiani, che persistono con comportamenti punitivi nei confronti dei migranti e nel contempo di imbarazzante giustificazionismo dinnanzi alla deriva autoritaria dell’Ungheria del loro alleato Orban.
Una proposta in linea con quanto si è impegnato a fare il governo portoghese con la regolarizzazione dei migranti irregolarmente soggiornanti nel suo territorio. Regolarizzare gli irregolari, dunque, non solo se lavoratori, per consentire loro livelli di tutela adeguati in questa fase di crisi sanitaria e di sistema, a partire dal fondamentale diritto alla salute. Una proposta che segue quella avanzata dalla Flai Cgil, dall’associazione Terra! e da decine di altre associazioni, indirizzata al Presidente Mattarella e ai Ministri Bellanova (Agricoltura), Catalfo (Lavoro), Lamorgese (Interni) e Provenzano (Sud) per chiedere la regolarizzazione di migranti non comunitari che lavorano in modo irregolare nelle campagne italiane. Un appello analogo lo ha lanciato anche l’Associazione Italiana Coltivatori con la regolarizzazione, anche in questo caso, dei “sommersi” e il sostegno alle imprese agricole italiane. Bruno Giordano, magistrato e docente di diritto della sicurezza sul lavoro all’università di Milano, considera “positivamente la proposta di una sanatoria straordinaria dei lavoratori irregolari, soprattutto nei settori strategici quali agricoltura, edilizia, trasporti ma a due condizioni. Occorre porre attenzione alla retroattività affinché la regolarizzazione non sia un’amnistia strisciante per caporali e sfruttatori. La seconda condizione imprescindibile riguarda l’inquadramento in una regolarizzazione più ampia dei lavoratori irregolari stranieri e il riallineamento dei diritti umani dopo i decreti sicurezza, criticati ma sempre in vigore”.
Alla regolarizzazione è dunque necessario avanzare una seconda importate proposta, ossia la cancellazione definitiva della legge 132/2018 (cd decreto Sicurezza), ridando certezza di diritto e di accoglienza a donne e uomini che sfuggono da guerre e povertà e che, per via del provvedimento del Governo Conte 1, si sono ritrovati senza tutele e servizi.
La loro emarginazione per volontà dello Stato è emersa con lo studio “I sommersi dell’accoglienza” di Amnesty International Italia, che denuncia le devastanti conseguenze sul piano dei diritti umani e sociali che il decreto Sicurezza ha comportato, a partire dalla cancellazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, della cui legittimità costituzionale è lecito dubitare, come afferma il giuslavorista Chiaromonte. Un provvedimento, come afferma Amnesty, che aumenta il numero delle persone esposte alla marginalità, alla povertà e allo sfruttamento lavorativo. È emblematica la vicenda di Nash, ghanese di 67 anni da 25 in Italia e da 3 nel progetto di accoglienza Sprar di Caserta, che dopo essere stato buttato in mezzo ad una strada dalla legge 132/2018, è morto di emarginazione di Stato e di coronavirus la notte del 24 marzo scorso presso l’ospedale di Caserta.
E alla fine di tutto questo, terza ed ultima proposta, bisognerà pure riprendere e affrontare con serietà la questione della cittadinanza. Bisogna avere coraggio per sconfiggere la povertà e lo sfruttamento e riformare il diritto di cittadinanza in senso inclusivo serve per garantire diritti, libertà e rappresentanza a migliaia di donne, uomini e minori che oggi sono esclusi dalla democrazia italiana.
Articolo originale su Fondazione Feltrinelli