
A colloquio con il Presidente della Commissione parlamentare sulle condizioni di lavoro in Italia, Sen. Tino Magni
Tino Magni approda per la prima volta in Parlamento a 75 anni e dice di se stesso: «Sono un operaio che ha conquistato il Senato con la sola quinta elementare, ma avendo frequentato l’università della vita». Così esordiva nel comunicato dopo la sua elezione Celestino (conosciuto da tutti come Tino) Magni, oggi Presidente della Commissione sulle Condizioni di lavoro in Italia al Senato, perché a soli 12 anni è stato costretto ad andare a lavorare come garzone presso un fabbro per aiutare la famiglia essendo morto suo padre, quando era poco più che un bambino.
«Arrivare in Parlamento per la prima volta a questa età è stato emozionante e mi ha ripagato dell’impegno e la dedizione di una vita dedicata a difendere i diritti dei lavoratori e con questo traguardo continuerò solo a farlo meglio – dichiara il Sen. Magni -; il mio unico rammarico è di non aver potuto proseguire gli studi». Vive a Barzago, un piccolo centro nel cuore della Brianza lecchese, dove è nato da una mamma tessitrice e un padre operaio in una fonderia di Sesto San Giovanni. Sposato con Rita, operaia metalmeccanica, papà di Sara, laureata in Scienze dell’Educazione e coordinatrice in un centro per persone disabili, ci dice: «Lei è il mio orgoglio, ha studiato per me». Oltre all’attività sindacale, sin da giovane ha trovato nella politica il modo di difendere i più deboli, lui che ha fatto il volontario in associazioni legate al mondo della disabilità e si è impegnato a portare aiuti umanitari durante la guerra dei Balcani, ricordando che, anche oggi, i suoi obiettivi in parlamento restano il lavoro, il futuro dei giovani e la lotta per i diritti.
1. Presidente Magni, lei è alla guida della Commissione parlamentare che indaga sulle condizioni di lavoro e sullo sfruttamento: quali sono le priorità su cui state concentrando l’attenzione in questa fase, e quali strumenti ritenete più urgenti per contrastare l’irregolarità e le forme di illegalità nel lavoro agricolo?
R) La commissione del Senato che presiedo ha il compito di indagare a tutto tondo sulle condizioni del lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza. Un compito non facile che stiamo portando avanti attraverso una serie di visite ispettive in giro per il Paese accompagnate non solo da un’attenta analisi delle situazioni, ma anche dall’elaborazione di strumenti di intervento diretti a migliorare l’efficienza e l’efficacia del sistema sicurezza nel suo complesso. Un lavoro che ha portato a sottoscrivere una convenzione con il Dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano. Un progetto di studio e intervento diretto a migliorare le condizioni di prevenzione e sicurezza sul lavoro che si sviluppa in due direzioni: una più efficace governance e una diffusa cultura della sicurezza.
2. Il 1° aprile si è aperto presso il Tribunale di Latina il processo relativo alla morte del bracciante agricolo Satnam Singh, un episodio che ha riportato l’attenzione pubblica sulle condizioni di vulnerabilità che interessano ancora oggi una parte del lavoro agricolo. Una vicenda che sollecita una riflessione più ampia su ciò che ancora non funziona nel sistema di tutela del lavoro agricolo. A suo avviso, quali sono oggi le leve più urgenti su cui intervenire per rafforzare la sicurezza, la legalità e la dignità in ambito agricolo?
R) Quello che è successo al bracciante agricolo Satnam Singh è agghiacciante ed è la dimostrazione del mix esplosivo tra mancato rispetto delle regole di sicurezza, lavoro nero e caporalato. Nei campi dell’Agro pontino vige la regola dello sfruttamento della manodopera straniera che ha nel caporalato la sua pietra angolare. La Flai-Cgil stima 200mila lavoratori agricoli irregolari in Italia, un fenomeno conosciuto da tutti e accettato. Lo sfruttamento agricolo è la forma più attuale di una schiavitù moderna. Una delle leve da utilizzare per stroncare questo fenomeno è quella di non creare clandestini, creare incentivi alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro e all’emersione del lavoro nero. Poi sono necessari controlli efficaci e risorse adeguate e permessi di soggiorno per chi denuncia.
3. Nel dibattito pubblico si parla molto di contrasto al caporalato, ma molto meno di “ricostruzione” sociale nelle aree in cui esso prospera. Quanto conta, secondo lei, investire non solo in repressione, ma in reti di accoglienza, formazione, accesso ai servizi e inclusione abitativa per spezzare il ciclo della dipendenza e della paura?
R) Conta moltissimo. Anzi, è proprio una delle prime cosa da fare. Purtroppo, però, il governo Meloni è impegnato a fare la guerra ai migranti, a chi arriva sulle nostre coste alla ricerca di un lavoro, di una vita migliore. E di conseguenza è impegnato ad impedire che si aprano reti di accoglienza, servizi e inclusione abitativa per i migranti. La loro è una guerra all’immigrazione che in realtà favorisce lo sfruttamento e il caporalato.
4. I dati più recenti confermano la persistenza di gravi criticità nel settore agricolo, con un tasso elevato di irregolarità e oltre 2.100 lavoratori riconosciuti come vittime di caporalato nel 2023. In questo contesto, ritiene che un rilancio strutturato della Rete del Lavoro Agricolo di Qualità – a cui hanno aderito solo il 3% delle aziende agricole iscritte alle camere di commercio, anche attraverso adeguati incentivi all’adesione per le imprese virtuose non ancora iscritte, possa rappresentare una leva concreta per promuovere legalità, trasparenza e tutela dei diritti nel comparto?
R) Tutto quello che promuove legalità, trasparenza e tutela dei diritti è benvenuto. La Rete del Lavoro Agricolo di Qualità può essere uno strumento, ma non l’unico. Il lavoro da fare è un lavoro culturale sulle imprese e sulle aziende agricole, perché la sicurezza non deve essere considerata un costo ma deve essere considerata uno strumento essenziale, soprattutto in agricoltura e in fabbrica che sono posti pericolosi. Poi vanno adottate politiche che tramite proporzionati incentivi promuovano le aziende virtuose e penalizzino quelle che non rispettano le regole.
5. La nostra organizzazione ha recentemente espresso la volontà di essere ascoltata in audizione proprio dalla sua Commissione per portare un contributo concreto sul lavoro agricolo dignitoso. Accoglierete questa richiesta e, in generale, quanto è importante il confronto con le associazioni di rappresentanza agricola impegnate sul territorio?
R) Accoglieremo sicuramente la vostra richiesta di essere auditi in commissione. Nel prossimo Ufficio di Presidenza porrò all’attenzione dei commissari la richiesta. La cifra della commissione che presiedo è proprio questa: ascoltare le associazioni e i soggetti imprenditoriali ed istituzionali.
6. Le nuove tecnologie e la tracciabilità di filiera potrebbero diventare strumenti interessanti per contrastare lo sfruttamento. A suo avviso, perché questo potenziale resta ancora poco utilizzato? E come si può stimolare un utilizzo più responsabile dell’innovazione anche in chiave sociale?
R) Indubbiamente le nuove tecnologie e la tracciabilità delle filiere, sono strumenti importantissimi non solo per contrastare lo sfruttamento della mano d’opera in agricoltura e in altri settori ma, anche, per combattere la terribile piaga degli incidenti sui luoghi di lavoro. In Italia sono in corso delle sperimentazioni importanti sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale per prevenire gli incidenti o il rilevamento satellitare delle colture che permette di monitorare in tempo reale quello che accade. L’innovazione sociale deve essere la chiave per il nuovo modello di impresa del futuro. Il benessere sociale deve diventare un fattore fondamentale per tutti. Sempre più aziende dovrebbero dare al loro modello di impresa un’impronta sociale e ambientale, attenta ai diritti di tutti, a partire dalle comunità locali.
7. Il cambiamento climatico sta modificando profondamente i tempi e le condizioni del lavoro agricolo, con ondate di calore sempre più frequenti e imprevedibili. Alcune misure di tutela sono già state introdotte, come la valutazione del rischio caldo e le ordinanze locali di sospensione delle attività. Ma secondo lei, queste risposte sono sufficienti? E cosa si potrebbe fare per rendere più efficace e uniforme la protezione dei lavoratori agricoli di fronte a eventi climatici estremi?
R: La crisi climatica, che la destra continua a negare, è una realtà che va affrontata anche nei campi, proprio perché le ondate di calore sono eventi sempre più frequenti che mettono in serio pericolo la vita dei lavoratori. Le risposte date fino ad oggi per evitare i colpi di calore sono frammentarie e insufficienti, proprio perché il governo nega l’evidenza. Le sole ordinanze locali per sospendere le attività non bastano, anche perché sarebbero applicate in modo disomogeneo sul territorio. Serve una legge nazionale. Purtroppo, però, un governo che continua a negare il cambiamento climatico non potrà mai salvaguardare la salute dei lavoratori dagli eventi climatici che non sono più ‘estremi’.