
8 marzo: intervista all’On. Laureti sull’impegno delle donne in agricoltura
Il punto di vista dell’On. Camilla Laureti, parlamentare della Commissione Agricoltura al Parlamento Europeo raccolto dall’Associazione Italiana Coltivatori
Tra crescita e ostacoli, l’agricoltura – sostantivo femminile – è un volano di sviluppo economico e sociale, soprattutto nelle aree interne. Sostenere la loro affermazione nel settore primario è una vera e propria “impresa” che l’Europa non può ignorare. In occasione dell’8 marzo, ne abbiamo parlato con Camilla Laureti, parlamentare della Commissione Agricoltura al Parlamento Europeo, a cui è stato affidato il dossier sull’imprenditoria agricola femminile nelle zone rurali, insulari e ultra-periferiche.
Onorevole, ci avviciniamo alla Giornata Internazionale della Donna e il tema scelto quest’anno dall’ONU è “Per tutte le donne e le ragazze: Diritti. Uguaglianza. Emancipazione”. Per quello che concerne il nostro campo (imprenditrici e lavoratrici), secondo Lei, a che punto siamo?
Nell’Unione europea il tasso di occupazione e il gender pay gap (n.d.r. divario retributivo di genere) variano ampiamente da stato a stato. In media, nell’Ue il tasso di occupazione degli uomini è più alto di quello delle donne (74% e 63%). Il gender pay gap, invece, si attesta al 12,7%. In Italia la situazione è maggiormente critica, come certificato in questi giorni dal Rendiconto di genere presentato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps: le donne hanno un tasso di occupazione di quasi 18 punti inferiore a quello degli uomini e, quando lavorano, hanno in media una retribuzione giornaliera di circa il 20% più bassa dei colleghi, mentre solo il 21% dei dirigenti e il 32,4% dei quadri è donna. Si tratta di dati che ci dicono che a fronte dei passi avanti compiuti, anche rispetto alla rottura del cosiddetto “tetto di cristallo”, abbiamo però ancora molta strada da percorrere per una piena uguaglianza nel mondo del lavoro, a partire anche dall’agricoltura. Il divario di genere nelle aziende agricole è del 24%, le donne impegnate nel lavoro salariato nel settore guadagnano 82 centesimi contro un dollaro degli uomini e possiedono meno del 20% dei terreni: questo il quadro globale che dobbiamo affrontare.
Se pensiamo alle imprenditrici, quali sono le distintività dell’imprenditoria agricola femminile in Europa?
Sostenibilità ambientale e sociale e multifunzionalità: quando penso all’agricoltura femminile penso a queste sue strategiche caratteristiche per il futuro del settore. Le donne che guidano aziende agricole sono le più aperte all’innovazione tecnologico-scientifica e hanno maggiore attenzione alle produzioni sostenibili sul piano del rispetto dell’ambiente e dei diritti del lavoro. Le aziende agricole a conduzione femminile sono inoltre anche quelle maggiormente capaci di sfruttare la multifunzionalità dell’agricoltura: la metà delle agricoltrici in Italia dà vita a agriturismi, fattorie didattiche etc. Senza dimenticare un particolare aspetto che mi sta a cuore: le aree interne rurali possono avere nel protagonismo femminile il motore centrale dello sviluppo. Se vogliamo contrastare lo spopolamento dei nostri borghi, che spesso sono borghi a carattere rurale, non possiamo che investire nell’attività agricola femminile, il che significa investire primariamente nelle infrastrutture e nei servizi (trasporti pubblici, banda larga, asili e scuole, presidi sanitari etc).
Nell’UE contiamo circa 2.8 milioni di imprese agricole gestite da donne (il 29% delle imprese agricole). Questo numero può ancora crescere e se sì quali sono le principali barriere che impediscono un maggiore coinvolgimento femminile nell’imprenditoria agricola?
Oltre a quanto detto prima rispetto alle aree rurali, aggiungo un altro elemento che si pone come un vero e proprio scoglio, spesso insormontabile: l’accesso delle donne alla terra, al credito e anche all’innovazione tecnologica. Abbiamo bisogno di far conoscere e riconoscere il ruolo di donne come imprenditrici agricole. Su questo l’Ue sta cercando di fare la sua parte, penso per esempio a FLIARA (Female-led Innovation in Agriculture and Rural Areas), un progetto Horizon Europe finanziato per quasi 3 milioni di euro, che si propone di dare visibilità alle donne e all’innovazione in agricoltura e nelle aree rurali.
La recente vision dell’UE sull’agricoltura ha delineato linee guida generali ma quali strumenti legislativi ritiene indispensabili per trasformare questi principi in azioni concrete a sostegno dell’imprenditoria femminile agricola?
Assodato che l’empowerment femminile arricchisce il sistema agricolo e alimentare, e può essere una forza trainante nel ripensare l’agricoltura in base alle sfide del presente, abbiamo bisogno innanzitutto di conoscere il mondo delle agricoltrici, analizzando numeri e dati del loro lavoro, conoscendone il profilo, analizzandone le difficoltà e i bisogni. Questo potrà essere fatto attraverso la Rete sulla sostenibilità in agricoltura (FSDN) di cui sono stata relatrice per i Socialisti e Democratici al Parlamento europeo. Sebbene nell’attuale PAC si faccia, per la prima volta, riferimento chiaro all’uguaglianza di genere e alla necessità di accrescere la partecipazione delle donne nell’agricoltura e nella vita rurale, gli Stati membri hanno interpretato questo obiettivo in maniera troppo diversa: deve essere chiaro che al sostegno delle aree rurali si deve affiancare quello all’imprenditorialità femminile. Anche il Dialogo strategico ci ha dato linee guida per il protagonismo delle agricoltrici: bilancio di genere, miglioramento dello status giuridico, parità di accesso e controllo delle risorse naturali e dei mezzi di produzione, accesso a servizi finanziari e risorse su misura etc. Una prima azione la vediamo nella Visione sul futuro dell’agricoltura che si propone di istituire una piattaforma “Donne in agricoltura” per attivare un maggior numero di donne in un settore dove ancora sono troppo poche. La piattaforma rafforzerà l’impegno delle donne e le pari opportunità nel settore agricolo e servirà anche da forum per la condivisione e lo scambio di buone pratiche. Altro tema importante che va affrontato è quello della rappresentanza del settore prevalentemente maschile se pensiamo, per esempio, che ai vertici delle organizzazioni di categoria e delle associazioni ci sono quasi tutti uomini.
In Italia, solo il 5% delle imprenditrici agricole ha un percorso di studi (diploma o laurea) legato all’agricoltura, rispetto all’11% degli uomini. Considerando che la competitività e la sostenibilità dell’agricoltura dipendono sempre più da competenze tecniche e manageriali, in che modo la scuola e l’orientamento professionale potranno giocare un ruolo chiave nel favorire una maggiore consapevolezza sulle opportunità offerte dall’agricoltura?
Abbiamo un problema secondo me più generale: quello di recuperare il rapporto con l’agricoltura fin dalla più giovane età. Questo riguarda ragazzi e ragazze. Il cibo che mangiamo non può essere considerato come qualcosa che si trova direttamente sullo scaffale del market a disposizione: ogni cibo ha una storia e un percorso, ambientale e umano. Perché il cibo non è una merce, ma un diritto: qualcosa di molto importante per ciascuno e ciascuna di noi. Questo messaggio deve arrivare chiaro ai giovani. L’educazione alimentare nelle scuole, allora, può essere uno strumento non solo per questo recupero di relazione con l’agricoltura, ma anche per acquisire stili di vita e alimentari sani. Un doppio beneficio. Dobbiamo promuovere, anche attraverso una nuova narrazione, la figura dell’agricoltore e dell’agricoltrice, lasciando che emerga il suo ruolo di custode dell’ambiente e della nostra salute, e lavorare per rendere questo impegno non solo possibile (accesso alla terra, al credito, reddito giusto) ma anche attrattivo. Sappiamo dall’Istat che i giovani fino a 24 anni sono i più preoccupati dal cambiamento climatico e dalla perdita della biodiversità e, tra questi, soprattutto le donne. Questa sensibilità potrebbe avere come conseguenza positiva la scelta di prendersi cura dell’ambiente e della salute attraverso lo studio e la professione agricola. E dobbiamo poi investire nell’orientamento rispetto a quelle materie e a quei percorsi di istruzione che preparano e formano all’attività dell’agricoltura, consentendo che sia praticata anche nel migliore dei modi. Questo vale per gli uomini e soprattutto per le donne del settore.
La ringraziamo per l’attenzione dedicata ad AIC e le poniamo un’ultima domanda. Se guardiamo all’Italia, secondo l’ultima analisi di McKinsey, solo un laureato su tre nelle materie STEM è di sesso femminile, più precisamente il 38%. Queste materie sono spesso alla base della cultura di impresa e quindi dei nuovi modelli agricoli sostenibili. Cosa possiamo fare insieme (politica e associazione di categoria) affinché domani più donne scelgano questi indirizzi e magari li mettano a disposizione dell’agricoltura 4.0?
Abbattere pregiudizi e stereotipi che condizionano le bambine nella loro formazione, educarle alla consapevolezza che non ci sono materie per uomini, professioni per uomini, ma che possono svolgere qualsiasi lavoro e studiare qualsiasi materia, se vogliono. Facciamole giocare anche con il meccano, insomma! E cambiare il mondo del lavoro, perché ancora troppo conformato e modellato a misura di uomo. Non solo è una grande questione di giustizia, ma anche di crescita e sviluppo: il mondo tecnologico-scientifico ha bisogno della competenza e del talento delle donne e del loro sguardo alternativo e diverso sul mondo.